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“L’idea di futuro nasce dalle radici. Da ciò che siamo state e da ciò che abbiamo fatto. Parte dalla riscrittura della nostra storia.”

Vivace, positiva e fiduciosa, Michela Ekström, cofondatrice di “Architettrici”, racconta l’energia femminile dell’architettura attraverso l’idea di un “riscatto” spazio temporale, capace di amplificare la percezione del passato, approfondire il presente e generare un futuro possibile creativo, consapevole ed inclusivo.

Nella storia dell’architettura le donne, spesso le vere ideatrici, sono collocate in secondo piano. Urge una nuova mobilità culturale. Quanto è importante allora che le questioni delle donne siano affrontate da altre donne?

Donne che parlano di donne significa riconoscersi, è un gioco di squadra. Concedersi del tempo per guardare allo sforzo fatto. Lo sforzo di tutte noi.

La profonda necessità di riappropriarsi dello spazio e del tempo per l’espressione e per la creatività.  Uno spazio in cui ritrovarsi, su misura, inclusivo, cui non necessariamente ci si debba sentire “altro”. 

Vogliamo mettere in crisi un modello, quel meccanismo di autodifesa che le donne stesse hanno utilizzato per molto tempo. Quello spirito di adattamento ad un mondo non a misura, che deve essere affrontato sempre con l’elmetto in testa, in cui tutti sono possibili avversari.

Donne che parlano di donne è anche un possibile antidoto alla solitudine.

Come e quando nasce la vostra idea di “futuro”?

L’idea di futuro nasce dalle radici.

Da ciò che siamo state e da ciò che abbiamo fatto. Parte dalla riscrittura della nostra storia.

La bellezza che sta alla base di questo progetto culturale, è lo stupore che ognuna di noi ha provato nello scoprire figure e storie straordinarie, con cui ci siamo da subito riconosciute.

Vorremmo che questa sensazione di meraviglia fosse la base del nostro futuro.

Perché è importante che il termine “Architettrici” diventi sempre più comune?

“Jo Plautilla Briccia Architetrice”.

Cosi si firmava Plautilla che nel 1600 costruiva a Roma una cappella in San Luigi ai Francesi e Villa Benedetta, Il Vascello, al Gianicolo.

Molti sostengono che il termine linguisticamente corretto sia Architetta. Si declina al femminile il termine maschile: Architect – Architectress, Arquitecto -Arquitecta, Architetto – Architetta.

Il suffisso -tetta si associa in maniera inequivocabile alla parola “Tetta”, che sul Treccani viene definita come “mammella”.

In un’ottica che vuole sostituire “l’adattamento”, con il “rinnovamento”, troviamo molto più significativo dare il nome al futuro utilizzando un termine del passato, che sia rappresentazione di forza, coraggio e talento, anziché declinare male, al femminile, un termine ancora maschile.

Architettrici quindi, perché diamo corpo e poesia alla nostra rinnovata consapevolezza. 

Architettrici, protagoniste ad Archifest 2050, Colle di Val D’Elsa. Qualche anticipazione?

Il 3 ottobre, a Colle di Val d’Elsa, nel MARS Spazio Michelucci, daremo voce alle architettrici. Parleremo delle donne muratrici del Medioevo, di Plautilla Bricci, di Lina Bo Bardi, di Charlotte Perriand, Eileen Grey, Lilly Reich, Flora Ruchat-Roncati e di chi ha portato avanti seriamente un’operazione di ricerca e divulgazione sul tema dell’architettura al femminile, il Gruppo Vanda.

Ma sentiremo anche le voci delle donne che vivono e operano nel presente. Delle architettrici che hanno risposto al nostro invito e che ci raccontano la loro esperienza.

Le donne cambieranno il mondo?

Io mi auguro che le donne avranno la forza di cambiare l’unità di misura sociale, culturale, professionale del mondo, contribuendo a definire un nuovo modello di relazioni, più equo e inclusivo. Non so quanto tempo e quanto sforzo sarà necessario perché ciò avvenga.

Noi intanto ci mettiamo al lavoro.