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“La città”, scriveva Italo Calvino nelle sue Città Invisibili, “non dice il suo passato, lo contiene come le linee di una mano”. Una riflessione generale sul patrimonio genetico di ogni realtà urbana che diventa particolarmente calzante se rapportata a Roma, città meravigliosa dal DNA complesso e dall’anima stratificata, imbevuta nel passato ma allo stesso tempo in costante trasformazione. Chi la conosce bene sa quanto sia facile, voltare un angolo, sbucare in una piazza, uscire da un vicolo e ritrovarsi sorprendentemente catapultati nell’imprevisto. Come poche città al mondo Roma si è sempre mostrata fiera di assorbire l’intersezione di espressioni architettoniche dissimili. Senza rinnegarne alcuna, serbandole tutte all’interno della sua poliedrica personalità per poi svelarne inaspettatamente una all’improvviso, come l’ istrionico attore che con studiato tempismo tira fuori la sua migliore espressione per strappare al pubblico un ancor più fragoroso applauso. Lo stupore a Roma è di casa. E stupore suscita a prima vista Speculum, il progetto d’interni realizzato nei pressi delle Terme di Diocleziano, all’interno di in un palazzo umbertino, da Sara Ceccoli e Michela Ekström, fondatrici dello studio di architettura Misalab. Parliamo di un intervento di ristrutturazione che ha interessato un piccolo locale composto da tre ambienti voltati che presenta una caratteristica non rara per Roma ma comunque particolare: la convivenza con alcuni reperti archeologici situati al di sotto della quota del pavimento, rappresentati da un pozzo romano e da porzioni di mura in opus reticolatum. Un vero coup de theatre, che ha inevitabilmente segnato il destino del progetto e spinto le sue autrici a confrontarsi necessariamente con la sotterranea realtà parallela. Il rapporto tra edificio e suolo è diventato così il perno centrale intorno a cui far ruotare l’intervento di interior, sviluppato attraverso la scrittura di un originale dialogo tra i due mondi, il sopra e il sotto, articolato intorno al rapporto tra il segno “meno” e il segno “più”. Il tema del sottosuolo con i suoi riferimenti al passato è stato affrontato attraverso un’operazione di sottrazione di materia, mentre il piano superiore, ascrivibile al presente, è diventato oggetto di un’addizione di volumi. Lo scambio di relazioni tra le due realtà avviene attraverso il pavimento: realizzato in vetro e sorretto da una maglia strutturale a griglia, consente il collegamento visivo con la preesistenza archeologica instaurando suggestive interazioni tra passato e presente. Su di esso insiste la nuova costruzione, un volume puro caratterizzato da un involucro segnato da una vibrante trama di linee verticali che si riflettono sulla superficie vetrata generando accumulazioni visive che alternano giochi di trasparenza a effetti specchianti. Il volume si presenta come un involucro chiuso e continuo, ribassato rispetto agli archi, per consentire la continuità prospettica e spaziale della preesistenza. Una volta superata la sua soglia, la griglia vetrata a terra denuncia marcatamente il suo disassamento rispetto alla giacitura della muratura esistente, denunciando il cambio di regole tra il dentro e il fuori. Ciò che prima era un dialogo tra due mondi facilmente leggibili muta forma: le superfici interne, rivestite di specchi, “speculum”, frammentano la percezione dello spazio alterandola attraverso sovrapposizioni continue e mutevoli tra figura e sfondo. Lo spazio abbandona la sua fissità a favore di una dinamica configurazione degli elementi della composizione. La storia si mescola. Passato, presente e futuro sfumano i propri contorni per fondersi in un sorprendente gioco di flashback e flashforward che sembrano annullare ogni limite spaziale e temporale, trasformando le persone all’interno dell’ambiente in spettatori di una personale e mutevole narrazione, quasi cinematografica, che trasforma il progetto in esperienza sensoriale. Una vocazione alla fluidità spaziale e percettiva rappresentata alla perfezione dalle fotografie di Ernesta Caviola, fotografa ma anche architettrice, come lei ama definirsi, che ha deciso di raccontare Speculum attraverso il balenare dei corpi. Forme del contemporaneo e archeologia danzano intorno a chi abita lo spazio mettendo in scena lo stupore di chi, entrato in un tipico cortile romano ottocentesco, varcando una soglia si ritrova protagonista di un inatteso viaggio nel tempo.